Scopri i Segreti Dietro il Finanziamento della Latitanza di Messina Denaro!

Il Ruolo Chiave di Giovanni Luppino nella Latitanza di Messina Denaro
Un'inchiesta della Guardia di Finanza ha messo in luce il cruciale coinvolgimento di Giovanni Salvatore Luppino, un imprenditore agricolo e autista di Matteo Messina Denaro, nella latitanza del noto boss mafioso. Luppino, che il 16 gennaio 2023 ha accompagnato Messina Denaro alla clinica "La Maddalena" di Palermo, dove è stato arrestato dopo tre decenni di fuga, è stato accusato di aver finanziato la latitanza del capomafia attraverso canali illeciti. Le autorità hanno disposto il sequestro di beni per un valore di tre milioni di euro, inclusi immobili e aziende agricole, a lui e ai suoi familiari.
Flussi di Denaro e Complicità Familiare
Le indagini hanno rivelato come i fondi destinati a Messina Denaro provenissero anche da Laura Bonafede, storica compagna del boss, già condannata per favoreggiamento. Tra il 2017 e il 2018, il figlio di Luppino, Antonino, avrebbe trasferito circa 81.623 euro sui conti di Bonafede, senza giustificazioni contabili. Gli investigatori sospettano che questi versamenti fossero utilizzati per sostenere le spese della latitanza. Non solo Luppino, ma anche i suoi due figli, Antonino e Vincenzo, arrestati recentemente, avrebbero garantito supporto logistico e sicurezza al boss, scortandolo in diverse occasioni, anche durante interventi chirurgici.
Un Cerchio di Protezione e il Mistero di "Parmigiano"
Giovanni Luppino e la sua famiglia facevano parte di un "cerchio magico" di imprenditori che fornivano sostegno economico e coperture a Messina Denaro. Le indagini hanno rivelato altri nomi coinvolti nel sostegno al boss, ma rimane avvolto nel mistero il codice "Parmigiano", citato nei pizzini sequestrati. Questo nome potrebbe svelare ulteriori dettagli su chi ha continuato a fornire mezzi e risorse per la latitanza del capomafia. Durante il processo, Luppino ha dichiarato di non aver mai conosciuto la vera identità di Messina Denaro, sostenendo di averlo conosciuto con un falso nome. Una testimonianza che non ha convinto gli inquirenti, i quali continuano a scavare per fare luce su una rete di complicità che ha garantito l'invisibilità del boss per decenni.
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